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Il Mostro, nuova serie diretta da Stefano Sollima e ideata insieme a Leonardo Fasoli, debutta Fuori Concorso alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia e approda, su Netflix il 22 ottobre, in coincidenza con i dieci anni della piattaforma streaming in Italia. Composta da quattro episodi, la serie porta sul piccolo schermo una delle vicende più oscure e discusse della cronaca italiana: il caso del Mostro di Firenze.
A partire dalle prime indagini, il racconto ripercorre una delle inchieste più complesse e controverse della nostra storia, tra documenti, teorie e piste investigative ancora oggi oggetto di dibattito, con particolare attenzione alla cosiddetta “pista sarda”. Prodotta da The Apartment (gruppo Fremantle) e AlterEgo, con la produzione esecutiva di Lorenzo Mieli, Stefano Sollima e Gina Gardini, la serie porta sullo schermo un cast che comprende Marco Bullitta, Valentino Mannias, Francesca Olia, Liliana Bottone, Giacomo Fadda, Antonio Tintis e Giordano Mannu.
Otto duplici omicidi.
Diciassette anni di terrore.
Un’unica arma: una Beretta calibro 22.
Il Mostro di Firenze è entrato nella storia come il primo e più brutale serial killer italiano. La sua vicenda ha alimentato una delle indagini giudiziarie più lunghe e intricate del Paese, un’inchiesta che, a distanza di decenni, non ha ancora trovato risposte definitive. La serie di Sollima sceglie di raccontare questa storia dal punto di vista dei “possibili mostri”, ovvero delle figure finite, a vario titolo, nell’orbita delle indagini e delle ipotesi investigative.
In questo modo, il racconto non si limita alla cronaca, ma esplora le zone grigie di un caso che ha segnato un’epoca e che solleva ancora domande inquietanti. Perché, come suggerisce la stessa serie, il mostro – alla fine – potrebbe essere chiunque.
Abbiamo incontrato il regista, lo sceneggiatore e l'esperto del caso che ha fornito la sua consulenza sul set, in occasione dell'anteprima della serie a Venezia 82 ed ecco cosa ci hanno raccontato.
"Tutto è cominciato leggendo libri scritti da investigatori in varie fasi delle indagini, libri di giornalisti che avevano seguito il caso, a cui si sono aggiunti gli atti giudiziari. Tutti questi testi però avevano una sorte di peccato originale, in ogni cosa che leggevi era come se ci fosse l’esigenza di dimostrare una teoria" ha detto Sollima.
Hanno provato a "raccontare la storia di tutti i presunti mostri che nel corso del tempo sono stati identificati e processati, in alcuni casi incarcerati. In questo processo di riordino ci sembrava doveroso iniziare la storia dall’inizio, e la pista sarda è stata la prima vera indagine sulla mostro di Firenze".
Fasoli, ideatore e sceneggiatore ha precisato: "C'è stato un delitto nel 1978 attribuito al marito della vittima, poi due delitti successivi nel 1974 e 1981 attributi all'ex fidanzato della vittima femminile, quindi nessun mostro fino a quel momento. Dal delitto del 1981 da cui parte la nostra serie inizia la ricerca di un omicida singolo, un serial killer. Quindi vengono sposate una serie di tesi, anche perché di solito i delitti italiani sono più legati alla mafia o al crimine organizzato…".
I quattro episodi raccontano ognuno la figura di un possibile mostro, tenendo presente che "ogni profilo del colpevole non era estraneo alle indagini, ma era frutto di una cultura complessa fortemente patriarcale che vedeva le donne come oggetto e perpetuava abusi vari contro le donne, anche se non erano l’assassino" ha aggiunto Fasoli.
Ovviamente quando si riporta a galla un caso di cronaca che ha lasciato il segno e ha fatto numerose vittime si rischia di alimentare polemiche e riaprire ferite, ma anche di cadere nella morbosità. A tal proposito Sollima ha precisato: "Non volevamo dare una risposta, ma fare domande intelligenti. Se sei chiamato a dover rappresentare l’orrore, da una parte vuoi rappresentarlo come lo hai visto. Abbiamo visto le foto vere delle indagini e fanno parte della storia che stiamo raccontando. Quindi avviene un dibattito interno molto intenso perché si può scivolare verso la morbosità però devi raccontare la realtà. Mi dovevo fidare dell’istinto e ho fatto vedere solo il necessario a far rendere conto dell’orrore".
Il regista ha trattato questo progetto con sensibilità e onestà, facendo attenzione anche a non coinvolgere le famiglie delle vittime che già hanno sofferto per tanti anni. "Abbiamo incontrato tutti tranne i parenti delle vittime, abbiamo deciso così per una questione di rispetto e per non rinnovare un dolore già vissuto in precedenza. Mi sembra indelicato presentarmi e spiegare che volevo una loro testimonianza per fare una serie. Abbiamo incontrato il procuratore Silvia Della Monica, Natalino Mele (il bambino vittima della tragedia), e altre persone ancora in vita. Ci siamo assunti una responsabilità utilizzando i nomi veri, abbiamo raccontato esattamente quello che è successo, Sicuramente ci sarà una reazione, ma noi volevamo solo ricordare perché è una storia che non è stata mai raccontata per come è andata, scientificamente"
Introducendo l'importanza della presenza di Francesco Cappelleti sul set, Sollima ha poi sottolineato che Il Mostro è stata la "prima volta che quando girava una scena c’era qualcuno che spiegava esattamente ciò che deve succedere. Sul set si avvertiva il disagio di stare raccontando una storia vera. Cappelletti raccontava esattamente quello che era successo su luogo dell’omicidio e poi intervenivo io fisicamente per realizzare la scena. Senza di lui non avremmo mai potuto fare questa serie senza commettere errori".
"Sono 17 anni che seguo questa storia ma non con grandi risultati, e ho sottovalutato emotivamente il coinvolgimento per questo progetto. Sono rimasto con le parole strozzate e senza voce molto spesso, anche se ne ho parlato tanto di questo caso. Non ero sempre sul set, ma solo nelle riprese delle scene degli omicidi. Però un giorno ricevo una telefonata indicativa di quanto ci teneva la produzione a riportare tutti gli elementi come erano nella realtà. Un ragazzo al telefono mi ha chiesto se per un collegamento con l'omicidio del 1978 mi ricordavo di che colore era la cartellina che conteneva il fascicolo".
Natalino Mele è stato coinvolto in parte per realizzare Il Mostro, un testimone chiave che però era troppo piccolo all'epoca. "Gli ho chiesto quali erano i suoi ricordi rispetto al rapporto degli interrogatori, e come è stata la sua vita dopo l'accaduto, ma solo per conoscerlo. Non gli ho fatto domande dirette su quella notte perché sarebbe stato inutile, lui ha più un rapporto emotivo con quello che è successo, era un bambino così piccolo da essere influenzato in vari modi, tra la famiglia e gli investigatori. Per sintetizzare lui dice: 'Tutti mi dicevano cosa dovessi dire' e questo ha stravolto e confuso la sua verità nel corso degli anni".
Alla base de Il Mostro quindi c'è stato un lavoro di ricerca incredibile. "Tutto è esattamente quello che c’era (vestiti, armi, oggetti…) non c’è stato spazio per la creatività, per alterare scene del crimine. Abbiamo ricostruito sulla base delle perizie medico legali, rimesso gli attori esattamente come erano, quindi un grande lavoro e non potevamo farlo in un altro modo. Le perizie però ogni tanto cambiano e si contraddicono, quindi abbiamo scelto quelle che rappresentavano quel filone delle indagini".
L’impressione che ne hanno ricavato consultando tutto il materiale per la serie è stata una violenza di genere poiché l'assassino sembrava avere come obiettivo primario la donna, ma uccideva l'uomo perché era un ostacolo.
In conclusione Sollima ha dichiarato: "Per me è stato un concorso di colpa, una concomitanza di cause, per limite tecnologico, limite culturale e un pregiudizio che nelle primissime indagini ha portato fuori strada gli investigatori. Mettendomi dall’altro punto di vista anche la pressione mediatica incredibile per chiudere il caso ha influenzato negativamente gli investigatori e le acque si sono confuse in continuazione".
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