Le città di pianura film
Le Città di Pianura - foto via Ufficio stampa

Come un piccolo film veneto è diventato il fenomeno cinematografico del momento

Un road movie veneto tra ironia, malinconia e la sorprendente storia del film d’autore che ha conquistato l’Italia
A cura di Letizia Rogolino
Articolo pubblicato il:
7 Dicembre 2025

Le Città di Pianura è il film rivelazione dell'anno: un’opera indipendente, nata in Veneto e senza grandi nomi di copertina, che in poche settimane è riuscita a imporsi come uno dei titoli più discussi e apprezzati del panorama cinematografico italiano. Un successo inatteso mosso dal passaparola quello del film di Francesco Sossai, diventato un vero e proprio caso culturale.

Le città di pianura rappresenta un bisogno collettivo di vedere sullo schermo un’Italia reale, non idealizzata, fatta di strade provinciali, bar silenziosi e dialoghi schietti. Il viaggio dei tre protagonisti diventa metafora di un Paese che si osserva allo specchio, tra nostalgia e ironia, cercando un senso nelle sue trasformazioni. Un piccolo film capace di raccontare una grande verità.

Un road movie d’autore che racconta il Veneto (e l’Italia)

Le città di pianura è il secondo film del regista veneto Francesco Sossai, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes. È un road movie atipico che non presenta l’ennesimo viaggio on the road americano, ma un percorso di un giorno attraverso la provincia veneta, tra bar, strade deserte e paesi svuotati. Un viaggio che diventa occasione per riflettere sui cambiamenti economici, sociali e culturali che hanno trasformato la regione (e l’Italia intera) negli ultimi quindici anni.

Le città di Pianura
Una scena da Le città di Pianura - foto via Ufficio stampa

Di cosa parla

La storia prende il via a Venezia, in una notte qualunque che improvvisamente smette di esserlo. Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla) sono due cinquantenni spiantati, un po’ disillusi e con un’ossessione che li guida come una missione: trovare “l’ultimo bicchiere”. Girano da un bar all'altro, trascinati dall’abitudine e da un’amicizia che sembra reggersi proprio su quei piccoli riti notturni. Durante questo loro vagabondare si imbattono in Giulio (Filippo Scotti), un timido studente di architettura, riservato e un po’ spaesato.

L’incontro è casuale, ma tutt’altro che insignificante: Giulio finisce per unirsi a questi due improbabili mentori, e da quel momento la ricerca di un drink diventa un viaggio iniziatico attraverso la pianura veneta. Il trio si muove lungo strade secondarie, attraversa paesi svuotati, si ferma in stazioni di servizio che sembrano sospese nel tempo e scambia chiacchiere che oscillano tra l’assurdo, il tragicomico e il profondamente sincero. È un road movie che scorre alla stessa velocità con cui si smaltisce una sbronza: lentamente, confusamente, ma con una lucidità improvvisa che arriva nei momenti inaspettati.

Il cast tra rivelazioni e volti inediti

Uno degli elementi più sorprendenti di Le città di pianura è il cast formato da personalità molto diverse tra loro, ma capaci di creare un equilibrio raro. C’è Filippo Scotti, già conosciuto e amato dal pubblico grazie al suo ruolo in È stata la mano di Dio, che porta nel film una sensibilità quasi fragile.

Accanto a lui troviamo Sergio Romano, volto familiare della televisione italiana, capace di dare spessore e ironia al suo personaggio. E poi c’è Pierpaolo Capovilla, figura iconica del rock alternativo italiano, che trasporta sullo schermo la sua intensità ruvida e magnetica. Il mix è sorprendente: attori diversi per formazione, stile e linguaggio che, messi insieme, regalano al film un tono autentico, diretto, quasi documentaristico. Una scelta coraggiosa da parte del regista Francesco Sossai, che contribuisce in modo decisivo all’identità del film.

La produzione, non facile

Dietro Le città di pianura c’è un lavoro lungo e meticoloso. Sossai ha impiegato sei anni per dare forma alla sceneggiatura, un tempo durante il quale ha letteralmente vissuto i luoghi che voleva raccontare. Si è trasferito dalle Dolomiti alla pianura veneta, ha trascorso giornate nei bar, ha osservato le persone, ha ascoltato conversazioni, annotando tutto su taccuini che sono poi diventati l’anima dei dialoghi del film.

Una delle scelte più particolari riguarda la lingua: invece del dialetto veneto, Sossai ha optato per un linguaggio che definisce “esperanto veneto”, una sorta di veneto addolcito e comprensibile a tutti, che mantiene l'identità della regione senza escludere il pubblico nazionale. È anche grazie a questa soluzione che il film riesce a essere allo stesso tempo radicato nel territorio e accessibile a chiunque.

Perché vederlo

Le città di pianura è un film adatto a chi ama il cinema d’autore e i road movie che sanno raccontare l’essenza dei luoghi e delle persone. È un’opera perfetta per chi cerca storie lente ma profonde, in cui ironia e malinconia convivono senza scontrarsi. Parla di amicizia, di errori, di piccole crisi quotidiane e di quella continua ricerca di sé che riguarda tutti, soprattutto in un’Italia di provincia fatta di silenzi, poesia, contraddizioni e disincanto. È un film che sembra piccolo ma che lascia un segno profondo, uno di quei racconti che continuano a lavorare dentro lo spettatore anche quando si accendono le luci in sala.

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Letizia Rogolino
Redattrice

Giornalista e copywriter, appassionata di cinema, serie TV e viaggi. Cinefila incallita e anima vagabonda, amo perdermi tra i road movie, il mare e le atmosfere degli anni '80. I dolci sono il mio comfort food, guidare mi rilassa, correre all’aria aperta mi rigenera. E quando posso, suono il banjo. Racconto storie, luoghi ed emozioni con la stessa curiosità con cui esploro il mondo.

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