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Cosa succede quando una donna si mette a nudo, anzi si presenta in scena come una bambola a grandezza naturale e decide di raccontare tutte le sue “rotture”? Nasce uno spettacolo potente e sorprendente come Tutta da aggiustare, il nuovo monologo teatrale di Michela Andreozzi, scritto a quattro mani con Giorgio Scarselli, in prima nazionale al Teatro Manzoni di Roma fino al 9 novembre 2025.
Dopo il successo dei suoi precedenti lavori, Andreozzi torna sul palco con un testo personale, profondo e al tempo stesso esilarante, che mette al centro le fragilità quotidiane di chi non si è mai sentita “a posto”. E non è sola: in scena, insieme a lei, convivono le tante voci che hanno abitato (e spesso messo in crisi) la sua interiorità, quella dell’adulta insicura, della bambina “intelligente ma svogliata”, della madre severa, di una maestra, di una fata madrina e persino della voce della coscienza.
Tutta da aggiustare accompagna lo spettatore in un viaggio dentro il vissuto emotivo di una donna che, come tante, ha sentito di non appartenere mai del tutto a ciò che ci si aspettava da lei: non a scuola, non in famiglia, non nella società. Una donna cresciuta a tentoni tra stereotipi, diagnosi mancate e sogni sospesi. Senza vittimismo, ma con tanto humour, Andreozzi racconta la sua “disfunzionalità” come uno specchio in cui riconoscersi: tra bollette da pagare, ginecologi che danno del “lei” e la sensazione costante di non essere all’altezza.

Sul palco, Michela si muove come un pezzo unico e stropicciato di porcellana, in un allestimento che la trasforma in una bambola simbolo di un ideale perfetto da smontare. La musica dal vivo del Maestro Greggia accompagna le emozioni, sottolineando con delicatezza momenti comici e commoventi.
Lo spettacolo tocca con intelligenza tanti temi del presente: dalla pressione della cultura woke ai pronomi da non sbagliare, dalla fragilità delle relazioni moderne all’uso (e abuso) delle diagnosi sui social, passando per l’intelligenza artificiale e i meccanismi della memoria.
Tutta da aggiustare è più di uno spettacolo teatrale: è un inno alla libertà di essere imperfette, inadatte, emotive. Di dirsi sbagliate — ma nel modo giusto. E soprattutto, di farlo ad alta voce, davanti a un pubblico che spesso ha bisogno esattamente di questo: qualcuno che racconti con leggerezza ciò che in tanti faticano ad ammettere. Un monologo che si legge come un diario, si ascolta come una confessione e si vive come un atto liberatorio.
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