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Questa sera, 29 dicembre 2025, Rete 4 riporta in prima serata Non ci resta che piangere, il film che più di ogni altro ha saputo unire comicità surreale, malinconia e intelligenza popolare. Diretto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi, il cult del 1984 è molto più di una semplice commedia: è un viaggio nel tempo, nella lingua e nell’anima italiana.
A distanza di quarant’anni, battute memorabili e scene iconiche continuano a parlare a più generazioni, dimostrando che certi film non invecchiano mai.
Non ci resta che piangere racconta la surreale avventura di Saverio, un insegnante ansioso, e Mario, un bidello dal carattere più dimesso. Bloccati a un passaggio a livello nella campagna toscana, i due amici si allontanano in auto ma, dopo un guasto, trovano rifugio in una locanda isolata. Al risveglio scoprono di essere finiti nella Toscana del Quattrocento.
Ospitati dal nobile Vitellozzo, coinvolto in una violenta faida familiare, cercano di adattarsi al nuovo tempo. Mario trova conforto nell’incontro con la dama Pia, mentre Saverio sogna di cambiare la storia impedendo a Cristoforo Colombo di scoprire l’America. Tra incontri improbabili, da Leonardo da Vinci a una misteriosa amazzone, il viaggio diventa una commedia irresistibile sul destino, sull’amicizia e sul tempo.
Nel 2010, Roberto Benigni raccontò che, per scegliere il titolo, lesse a Troisi una serie di versi chiedendogli quale per lui suonasse meglio. Quando arrivò a Non ci resta che piangere, Troisi lo interruppe subito: era quello giusto. Così, in modo leggero e quasi per gioco, nacque il titolo del film, ispirato a un verso del poeta trecentesco Francesco Petrarca.

All’inizio Benigni e Troisi faticavano a trovare l’ispirazione e chiesero ai produttori più tempo per lavorare alla sceneggiatura. Si concessero così un lungo ritiro creativo a Cortina d’Ampezzo, durato oltre un mese e sostenuto dalla produzione, ma senza risultati definitivi. Decisero allora di cambiare scenario: prima il mare, poi la Val d’Orcia, nella speranza che nuovi paesaggi accendessero l’idea giusta.
Quando finalmente si presentarono dai produttori Mauro Berardi ed Ettore Rosboch, però, avevano con sé soltanto due semplici appunti: la storia sarebbe stata ambientata nel Medioevo e i protagonisti avrebbero tentato di fermare Cristoforo Colombo.
La celebre sequenza della dogana, con l’ufficiale che pretende ripetutamente “un fiorino!” dai due protagonisti, è diventata una delle scene comiche più iconiche del cinema italiano. Durante le riprese fu necessario rifarla molte volte, perché sul set nessuno riusciva a trattenere le risate. Alla fine si decise di utilizzare una delle ultime versioni, in cui l’ilarità degli attori — soprattutto quella incontenibile di Benigni — è autentica e contagiosa, contribuendo al fascino irresistibile della scena.
Di solito il cinema attinge a romanzi di grande successo, trasformandoli poi in film. Non ci resta che piangere segue invece il percorso inverso. Dopo l’uscita nelle sale, Benigni e Troisi firmarono un libro con lo stesso titolo, costruito a partire dalla sceneggiatura. Il volume uscì nel 1984 e venne ristampato da Mondadori nel 1994, anno della scomparsa di Massimo Troisi.
Il romanzo presenta poche differenze rispetto al film, ma una è significativa e riguarda il finale: Saverio confida a Mario di conoscere il modo per tornare nel Novecento, promettendo di rivelarlo solo se l’amico accetterà di sposare sua sorella. Un dettaglio che lascia spazio all’idea che il viaggio nel tempo sia stato, in realtà, un piano architettato dallo stesso Saverio.

Roberto Benigni e Massimo Troisi erano uniti da un’amicizia intensa e sincera, un legame che emerge chiaramente anche dalla forza emotiva del film. In un’intervista rilasciata nel 2011, Benigni spiegò come il senso profondo della pellicola fosse direttamente legato al rapporto che li univa: un’opera nata da quell’affinità speciale che è l’amicizia, così vicina all’amore e allo stesso tempo diversa, capace di rendere forti e vulnerabili insieme.
Lavorare fianco a fianco significava costruire qualcosa in comune, sostenendosi a vicenda con leggerezza e complicità. Con tono malinconico, Benigni ricordò poi come tra loro fosse sbocciata un’amicizia totale, simile a un innamoramento, fondata su gioia, spontaneità e purezza. La scomparsa prematura di Troisi lasciò un vuoto profondo: per Benigni, Massimo rimaneva un autore autentico, andato via troppo presto.
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