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I consigli della redazione
Che il Tevere sia la culla della Città Eterna, come vuole la leggenda di Romolo e Remo, affidati alle correnti in attesa della salvifica Lupa, lo conferma il rapporto ancora oggi simbiotico che i cittadini intrattengono con le sue acque, dove si specchiano le icone del patrimonio storico e culturale della Capitale. In una perfetta sinergia tra uomo e natura, capolavori e paradigmi dell’ingegno si stagliano, uno dietro l’altro, non solo lungo ma anche attraverso le sue sponde: è il caso dei ponti, molto più che semplice trait d’union tra rive opposte. Che sia quella più autentica, antica, festaiola, romantica o scenografica, i ponti dell’Urbe hanno un’identità unica che li ha consacrati nel presente, ma solo coralmente restituiscono l’anima multiforme della città. Ecco, quindi, i ponti più famosi di Roma.
Vere e proprie opere d’arte e di architettura, testimoni di un passato prossimo e, soprattutto, remoto, perfino millenario, i ponti più famosi di Roma sono capaci di regalare una prospettiva d’eccezione in un itinerario tra le meraviglie cittadine. Scopriamoli.
Cuore pulsante della movida notturna, Ponte Milvio, nel quartiere Flaminio, è un luogo di ritrovo per giovani e turisti intenzionati a vivere il fermento della Città Eterna, tra ristoranti trendy e locali che si risvegliano al calar del sole. E questo a dispetto della sua veneranda età: il ponte che non dorme mai è stato infatti costruito nel 109 a.C. e, storicamente, grazie alla posizione strategica, è stato teatro di decisive battaglie, dall’Impero di Costantino ai moti risorgimentali.
Soprannominato “Mollo” in epoca medievale – probabilmente a causa del crollo di un’arcata centrale che rese necessaria la realizzazione di un’instabile passerella in legno –, Ponte Milvio ha sperimentato una rinascita nel 1805, grazie al riassetto operato da Giuseppe Valadier, culminato nella creazione di una torretta fortificata in stile neoclassico, che del suo grande architetto porta il nome. I successivi rimaneggiamenti hanno permesso di dedicare il passaggio ai soli pedoni, guidati nell’ora tarda da un’illuminazione suggestiva in grado di esaltare il fascino delle strutture, il cui insito romanticismo è stato a lungo alimentato dall’usanza delle coppie di suggellarvi, sulla scia dei popolari romanzi di Federico Moccia, il loro amore attraverso emblematici lucchetti.
Parlando di romanticismo, impossibile non pensare a una passeggiata su Ponte Sisto, quando l’azzurro del cielo lascia spazio alle sfumature incendiarie del tramonto, in uno scenario da cartolina in cui, tra il viola e l’arancio, campeggia la Cupola di San Pietro. Realizzato in occasione del Giubileo del 1475, come accesso per i pellegrini e contatto diretto tra il Vaticano e il resto della città, il ponte ha in realtà sostituito un precedente collegamento romano, compromesso da un’alluvione nel 792 al punto da essere ribattezzato “ponte rotto” – un appellativo ricordato tuttora nelle lapidi alle estremità dell’ingresso. Tra le quattro arcate che lo costituiscono si riconosce quello che i romani, bonariamente, definiscono “occhialone”, un’apertura circolare funzionale a misurare il livello delle acque. Naturale compagno delle ore crepuscolari, Ponte Sisto si trova in prossimità di Piazza Trilussa, altro punto nevralgico della vita notturna capitolina.
Risale al 62 a.C., ed è il ponte romano più antico – e meglio conservato – ancora in uso, connessione, insieme al limitrofo Ponte Cestio, tra il lungotevere De’ Cenci e l’Isola Tiberina. Spettatore di una storia millenaria, Ponte Fabricio porta il nome – inciso a caratteri cubitali sulle arcate – del suo costruttore, Lucius Fabricius, all’epoca addetto alla cura delle strade (curator viarium). I romani, però, lo conoscono meglio come Ponte dei Quattro Capi, per via della credenza popolare secondo cui, sotto il pontificato di papa Sisto V, i quattro architetti incaricati di restaurare il ponte, entrati in conflitto per futili motivi, furono decapitati sul posto. Un monumento a quattro teste, scolpito in un unico blocco di marmo, li obbliga da allora a una convivenza forzata.
Ma le suggestioni leggendarie non finiscono qui: nella Torre della Pulzella, eretta a guardia del passaggio, una piccola testa femminile in marmo incastonata nella muratura osserva i viandanti. Sembra che il volto appartenesse a una giovane nobildonna del Medioevo, rinchiusa nella torre per aver rifiutato il matrimonio impostole dalla famiglia.
E dopo il più anziano, spazio ai giovani. Il Ponte della Musica era previsto nel piano regolatore di Roma del 1929, ma ha visto la luce solo nel 2011, quando è stato inaugurato tra i quartieri Della Vittoria e Flaminio. Collega l'auditorium Parco della Musica e il teatro Olimpico con il complesso sportivo del Foro Italico, lo spazio verde di Monte Mario, il museo del Genio e l'auditorium della Rai. Interamente in acciaio e cemento armato, è contraddistinto da due grandi archi ribassati che sorreggono l’impalcato metallico: l’assenza di un collegamento orizzontale nella zona superiore ha permesso di conferire un grande slancio all’architettura d’insieme e di dividere la corsia carrabile centrale dai due percorsi pedonali che si sviluppano lungo il fiume. Dal 2013 è dedicato alla memoria del compositore romano, scomparso nello stesso anno, Armando Trovajoli, da cui l’attuale denominazione. Oggi, per la sua riconoscibilità, entra di diritto tra i ponti più famosi di Roma.
Celebre congiunzione tra l’omonima piazza e il lungotevere Vaticano, menzionato anche da Dante Alighieri nel suo Inferno, Ponte Sant’Angelo è un inno alla maestosità. Voluto dall’imperatore Adriano, nel 134, fu la Roma dei papi a plasmarlo così come lo conosciamo: sotto il pontificato di Gregorio Magno assunse ufficialmente il nome che conserva ancora oggi, mentre grazie a papa Clemente VII, nel 1535, al suo ingresso furono introdotte le iconiche statue dei santi Pietro e Paolo. Infine, tra il 1667 e il 1670, papa Clemente IX commissionò a Gian Lorenzo Bernini la realizzazione dei dieci Angeli che portano gli strumenti della Passione, contribuendo così a impreziosire definitivamente – e scenograficamente – l’antico passaggio, dominato dall’imponente splendore del Castello, da quasi duemila anni testimone dei destini della Città Eterna.
Attenzione, però: percorrere Ponte Sant’Angelo durante la notte può essere affascinante quanto rischioso. Si dice che vi si aggiri il fantasma del boia più famoso di Roma, Giovanni Battista Bugatti, conosciuto come Mastro Titta, che qui giustiziò alcuni degli oltre 500 condannati a morte della sua lunghissima carriera, tra il XVIII e il XIX secolo. Avvolto nel suo mantello scarlatto, pare ami offrire una presa di tabacco da masticare a chiunque incontri per la sua strada. Uomo avvisato…
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