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Dopo decenni di assenza, la lebbra, nota anche come malattia di Hansen, ha fatto nuovamente la sua comparsa in Europa orientale. Recenti segnalazioni riguardano quattro casi in Romania e un caso isolato in Croazia. In Romania, dopo 44 anni dall’ultimo caso registrato nel 1981, le autorità sanitarie hanno confermato quattro sospetti contagi tra lavoratrici asiatiche di un centro massaggi di Cluj-Napoca. Parallelamente, la Croazia ha riportato un caso relativo a un lavoratore nepalese residente da due anni nel paese.
Nonostante l’allarme iniziale, i ministeri della Sanità di entrambi i paesi sottolineano che non vi è pericolo per la popolazione generale. La lebbra ha infatti una contagiosità limitata, richiedendo contatti prolungati per la trasmissione, e i protocolli sanitari sono stati attivati tempestivamente. Gli esperti, tra cui l’infettivologo Matteo Bassetti, invitano a evitare allarmismi e stigmatizzazioni: la malattia, se diagnosticata e trattata precocemente, è completamente curabile.
La lebbra è una malattia infettiva cronica causata dal batterio Mycobacterium leprae che colpisce principalmente pelle e nervi periferici. La trasmissione avviene soprattutto tramite goccioline respiratorie, ma solo dopo contatti prolungati con una persona infetta. I sintomi includono lesioni cutanee, perdita di sensibilità e debolezza generale, ma la malattia oggi è completamente curabile con una terapia antibiotica della durata di sei-dodici mesi.
Il morbo di Hansen ha un periodo di incubazione molto lungo: dai sei mesi fino a oltre dieci anni. Questo spiega perché possano emergere casi sporadici anche in aree dove la malattia era considerata scomparsa. L’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala che la lebbra rimane endemica in alcune regioni di Brasile, India, Indonesia, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh e paesi limitrofi.

La lebbra è conosciuta fin dall’antichità, con testimonianze in testi indiani, egiziani e babilonesi risalenti a oltre 4.000 anni fa. Il termine “lebbra” deriva dal greco "lépra", che significa “scaglia” o “desquamazione”, richiamando le caratteristiche lesioni cutanee della malattia. Nel Medioevo, la lebbra era temuta in tutta Europa e spesso associata a stigma sociale e isolamento. I lebbrosi venivano relegati in ospedali speciali o lebbrosari, separati dalle comunità.
Solo nel XIX secolo, grazie alla scoperta del batterio da parte di Gerhard Hansen nel 1873, la malattia ha iniziato a essere compresa scientificamente e trattata efficacemente. Prima dell’introduzione degli antibiotici, la lebbra causava deformità, paralisi e, in casi gravi, cecità. Oggi, la terapia combinata con antibiotici ha trasformato radicalmente la prognosi della malattia: con una diagnosi precoce, la guarigione è completa e i pazienti non sono più contagiosi. Rimangono sfide legate all’accesso alle cure nei paesi endemici e allo stigma sociale, che può ritardare il trattamento.

Nel 2024 nel mondo sono stati registrati circa 172.717 nuovi casi di lebbra, con una diminuzione del 5% rispetto all’anno precedente. I bambini sotto i 15 anni rappresentano ancora una quota significativa dei contagi, segno che la trasmissione non è del tutto interrotta. In Italia, invece, si registrano circa dieci nuove diagnosi all’anno.
Gli esperti insistono sull’importanza della diagnosi precoce e dei trattamenti antibiotici appropriati, sottolineando come la malattia non rappresenti più una minaccia per la vita quotidiana dei pazienti, né un rischio di epidemie nella popolazione generale. L’allerta in Romania e Croazia, sebbene rientri nella normale gestione sanitaria, ricorda l’importanza di monitorare anche le malattie storicamente considerate debellate.
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