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YouTube vietato ai minori di 16 anni, con la stessa sorte che è stata riservata in generale a tutti i social network. Sta facendo discutere la linea dura intrapresa dall'Australia, con la decisione che è stata ufficializzata lo scorso 30 luglio dal Ministro delle Comunicazioni, Anika Wells. Inizialmente il governo aveva deciso di escludere YouTube dalla stretta prevista per i social, ma alla fine anche la celebre piattaforma è stata inclusa in questa sorta di black list. Dal prossimo 10 dicembre così in Australia i vari siti avranno l'onere di impedire ai minori di 16 anni di avere un account sui loro siti, pena il rischio di multe pari a quasi 50 milioni di dollari australiani, circa 32 milioni di dollari.
Una presa di posizione questa che rappresenta un unicum tra i Paesi occidentali. In Italia i minori sotto i 14 hanno bisogno del consenso dei genitori per poter avere un proprio account social, una soglia fissata in Francia a 15 anni e in Germania a 16 anni come in Spagna. In Australia però la decisione è stata differente e ben più drastica: il divieto infatti sarà assoluto per chi ha meno di 16 anni, anche in caso di consenso da parte dei genitori. Il governo di Canberra, però, sembra deciso a proseguire per la propria strada, con anche il primo ministro che ha difeso pubblicamente la decisione durante una conferenza stampa.
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Alla fine l'Australia ha fatto marcia indietro, includendo anche YouTube nell'elenco delle piattaforme che saranno vietate in tutto il Paese ai minori di 16 anni. Nel 2024 il Parlamento australiano ha approvato una legge che vieta - a chi non è ancora 16enne e a partire dal 10 dicembre 2025 - di avere un proprio account su Facebook, Instagram, X, Snapchat e TikTok. Il legislatore ha voluto dare un anno di tempo alle piattaforme oggetto della stretta per capire come operare. Come detto, saranno i siti a doversi attivare per far rispettare la legge, altrimenti rischiano una multa salata. In un primo momento il governo aveva escluso YouTube, ma un sondaggio poi ha convinto le autorità australiane a includerla nel divieto.
A inizio luglio infatti l'ente regolatore indipendente australiano per la sicurezza online, la eSafety Commission, ha rilevato che il 37% dei bambini intervistati ha segnalato di aver visto contenuti dannosi sul sito di proprietà Alphabet. Per contenuti dannosi si intendono idee sessiste, misogine o incitanti all'odio, sfide online e video di combattimenti pericolosi, oppure contenuti che incoraggiano abitudini alimentari non salutari. Le maglie della legge però non sono così strette. Non sarà possibile impedire infatti a chi ha meno di 16 anni di fruire dei contenuti senza essersi registrato; in più YouTube Kids non sarà incluso nel divieto perché non consente agli utenti di caricare video o di commentarli.
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Per motivare questa svolta sui social da parte dell'Australia, il ministro delle Comunicazioni, Anika Wells, si è lasciata andare in un paragone particolarmente duro: "È come cercare di insegnare ai propri figli a nuotare in mare aperto, con le correnti di risacca e gli squali, rispetto alla piscina comunale. Non possiamo controllare l'oceano, ma possiamo sorvegliare gli squali, ed è per questo che non mi lascerò intimidire dalle minacce legali quando si tratta di una vera lotta per il benessere dei bambini australiani". Wells poi ha giustificato la scelta di includere anche YouTube in quanto la piattaforma "utilizza le stesse caratteristiche di design persuasive delle altre piattaforme di social media, come lo scorrimento infinito, la riproduzione automatica e il feed algoritmico".
Il rapporto tra i più giovani e i social - il discorso potrebbe essere allargato a tutto il web in generale - è una delle grandi sfide che tutti noi siamo chiamati ad affrontare. Le motivazioni del governo australiano appaiono come condivisibili, ma la storia ha insegnato che vietare raramente ha prodotto gli effetti desiderati. In teoria basterebbe che un amico con più di 16 anni apra l'account al posto del minore, senza contare che i ragazzi potrebbero comunque continuare a vedere video e contenuti senza però essere registrati. I controlli poi sono un punto interrogativo, visto che il governo ancora non ha reso note quali saranno le linee guida definitive. Le istituzioni invece dovrebbero educare i giovani al corretto utilizzo della rete, coinvolgendo attivamente anche le famiglie. Insomma, se lo scopo è nobile la soluzione però potrebbe risultare controproducente.