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Gastromixology, la cucina diventa liquida

L'ultima frontiera culinaria è tutta da bere
A cura di Silvia Bartolomei
Articolo pubblicato il:
21 Marzo 2024

In un'era in cui, tra programmi TV ai blog di cucina sul web, la gastronomia nella sua veste più innovativa e originale è onnipresente, restare ancorati ai vecchi schemi risulta quanto mai anacronistico: è necessario quindi ragionare in modo non convenzionale. Ed è proprio da questa volontà di pensare fuori dall'ordinario, coadiuvata dalla costante ricerca della perfezione, sia in ambito gastronomico che enologico, che nasce la gastromixology, in cui i cocktail si trasformano in veri piatti da bere. Così il dilemma dell'abbinamento diventa superfluo, poiché la bevanda diventa a tutti gli effetti un'estensione del cibo. Come afferma il pluripremiato chef madrileno David Munoz: "La cucina liquida è una danza a due tra piatto e drink".

Riflettendoci, fino a pochi anni fa, sarebbe stato impensabile sorseggiare un drink dal sapore di carbonara; oggi, tuttavia, la tradizione è stata stravolta.

D'altra parte, in un futuro che cambia rapidamente, è necessario anticipare i tempi, puntare all'avanguardia, ed è questo che deve aver pensato il primo chef che ha ideato la gastromixology.

Dall'Italia all'estero, l'interesse per i drink gastronomici - così ci si può riferire ai cocktail in cui si sperimenta come in un piatto - è così marcato che si sono definite alcune peculiarità a seconda del Paese di origine, ma un tratto comune a tutti è la riduzione del grado alcolico, affinché qualità e sapore della bevanda rimangano inalterati.

Gastromixology in Italia

Drink gastronomici. Shutterstock by Maksym Fesenko

L'Italia, con la sua ricca tradizione culinaria, ha dovuto affrontare la sfida di cambiare il modo di concepire il pasto. Se già da qualche tempo non è più tabù abbinare al cibo un drink alcolico diverso da vino o birra, ora lo scenario si trasforma, fondendo il drink direttamente con il piatto.

Questa nuova tendenza ha colto di sorpresa gli appassionati di cucina, portando una ventata di novità. Un esempio concreto? Il Carbonara Sour, che rielabora il Whisky Sour con albume d'uovo, pepe nero, limone e una vodka infusa al guanciale mediante il "Fat Washing", una tecnica che consente di trasferire il sapore del grasso in un distillato senza trasferire il grasso stesso. Ma sono molti sono i cosiddetti "piatti da bere": basti pensare al drink con gusto di tagliolini o quello alla pastiera napoletana dello chef Pagani.

Il principio di fondo della cucina liquida è che tutto ciò che si può mangiare può anche essere bevuto, evocando gli stessi ricordi di un piatto solido. E, infatti, i pilastri di questa nuova forma alimentare sono sostenibilità, replicabilità e memoria. Sebbene la ricerca iniziale degli ingredienti adeguati a ricreare le emozioni e le sensazioni di un piatto possa essere complessa, una volta identificati, è semplice riprodurli.

E all'estero

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All'estero, questa categoria di drink è considerata un completamento del piatto. Lo chef Munoz, già citato, propone, accanto alla sua interpretazione del chili crab, un cocktail che richiama i sapori della zuppa della cucina thailandese, con note sia acide che dolci. Negli Stati Uniti, invece, il passo successivo è stato creare drink analcolici che attraverso erbe e spezie riproducono il gusto di drink alcolici.

La gastromixology sta conquistando il mondo e voi che ne pensate?

Silvia Bartolomei
Redattrice

Nata a Roma, si è laureata in Turismo presso l’università La Sapienza per poi approfondire le proprie conoscenze attraverso un master in Digital
Marketing. Presenta una doppia identità: nel fine settimana è una travel addicted sempre con lo zaino in spalla mentre durante la settimana si trasforma in redattrice. Ama cucinare e cimentarsi sempre in nuove ricette. Si occupa di redigere contenuti nelle categorie Outdoor, Travel e Food&Drink. Il suo
motto? una vita in movimento.

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