La storia vera di Dead Man's Wire, il film di Gus Van Sant in anteprima a Venezia 82
Il nuovo film di Gus Van Sant racconta la vita e le sfide di un giovane musicista tra arte, attivismo e scelte morali.
Dopo aver visto a Venezia 82 il film The Testament of Ann Lee con Amanda Seyfried viene la curiosità di saperne di più sulla storia degli Shakers, una comunità rurale nata nel Settecento. Noti anche come Società Unita dei Credenti nella Seconda Apparizione di Cristo, sono stati uno dei movimenti religiosi più singolari e radicali nati nel contesto del protestantesimo del Settecento.
Il loro nome curioso deriva dalle manifestazioni estatiche che accompagnavano i momenti di preghiera: tremori, danze e movimenti frenetici che, secondo i fedeli, segnalavano la discesa dello Spirito Santo. Ma dietro a queste immagini suggestive si nasconde una storia complessa fatta di persecuzioni, migrazioni, utopie comunitarie e un lascito che va oltre la religione, arrivando fino al design contemporaneo.
Le radici degli Shakers si trovano nella rivolta dei Camisardi nelle Cévennes francesi, all’inizio del XVIII secolo. Dopo la revoca dell’Editto di Nantes da parte di Luigi XIV, i protestanti furono perseguitati e costretti a scegliere tra conversione forzata o esilio. Molti optarono per fuggire, portando con sé un fervore religioso intriso di visioni apocalittiche e profezie millenariste.
In Inghilterra trovarono inizialmente accoglienza, ma ben presto anche lì furono percepiti come sovversivi, sia per la loro opposizione a ogni autorità, sia per le pratiche religiose considerate eccessive. Il primo protesta degli Shaker fu Elia Marion, ma poi arrivò Ann Lee che nascque il 29 febbraio 1736 a Manchester, in Inghilterra, e morì l'8 settembre 1784 all'età di quarantotto anni a Watervliet, nella Contea di Albany, New York.
Fu in questo contesto che emerse la sua figura con il nome di “Madre Ann”. Divenne una profetessa carismatica che i suoi seguaci considerarono un’incarnazione femminile di Cristo. Nel 1774 guidò un gruppo di fedeli oltre l’Atlantico, verso il New England, in cerca di una nuova Terra Promessa.
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Nati da una storia particolarissima, negli Stati Uniti gli Shakers costruirono comunità rurali fondate su due principi cardine: il celibato assoluto e la condivisione dei beni. Non esisteva proprietà privata, e uomini e donne vivevano in una rigorosa separazione, dedicando la vita al lavoro, alla preghiera e al servizio reciproco.
Malgrado le regole severe, il movimento conobbe una sorprendente espansione: nella prima metà dell’Ottocento contava circa 25 villaggi e 4.000 membri. Le loro comunità erano efficienti, autosufficienti e rispettate per l’onestà e la qualità delle loro produzioni artigianali.
Tuttavia, il celibato obbligatorio rese impossibile il ricambio generazionale, e con il tempo gli Shakers entrarono in un declino irreversibile. Oggi sopravvivono solo poche comunità, come quella di Sabbathday Lake nel Maine.
Paradossalmente, ciò che più di tutto ha mantenuto vivo il nome degli Shakers non è tanto la loro dottrina religiosa quanto il loro stile di vita e di design. La loro filosofia puritana, che rifiutava ogni decorazione superflua, portò alla creazione di mobili semplici, funzionali e straordinariamente moderni.
Quello che per loro era rigore spirituale oggi viene celebrato come antesignano del minimalismo. Non a caso, i mobili shaker originali sono ricercatissimi e venduti a prezzi altissimi nel mercato dell’antiquariato.
Gli Shakers rappresentano un unicum nella storia: un gruppo religioso radicale che ha saputo unire spiritualità, comunitarismo e arte. Il loro messaggio di uguaglianza, austerità e condivisione ha lasciato un segno profondo, anche se oggi sopravvive solo in poche enclave.
Eppure, attraverso la loro eredità nel design, la musica (molti canti shaker sono ancora conosciuti) e l’immaginario collettivo, gli Shakers continuano a parlarci. Non come un semplice movimento religioso ormai estinto, ma come testimonianza di quanto lontano possa spingersi l’essere umano nella ricerca di una vita autentica, radicale e, in fondo, utopica.
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