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Fantasmi di Roma, i più famosi e dove avvistarli

Mastro Titta, Messalina e altri spettri che infestano la Capitale
A cura di Barbara Balestrieri
Articolo pubblicato il:
23 Maggio 2025

La sua fondazione è mito, le sue cronache leggenda: Roma non ha di fatto rivali quanto a potere di suggestione dell’immaginario collettivo. La storia, impressa in ogni angolo della città, si lascia respirare, si fa toccare con mano; a volte, quando i sanpietrini riflettono la luce tremolante dei lampioni e le fontane sussultano nel silenzio circostante, pare fare un passo in più. Allora, tra i vicoli bui della sempre incantevole Trastevere e le facciate barocche di piazza Navona, i più temerari potranno imbattersi in figure inquiete del passato che si dice non abbiano mai lasciato la città: anime, dannate o tragiche, che tornano notte dopo notte a ripetere il loro eterno copione. Oggi proviamo a conoscerle meglio. Tra realtà e superstizione, ecco i fantasmi di Roma.

Fantasmi di Roma: un tour al chiaro di luna

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Spiriti dalle vite spezzate, sospesi tra il mondo terreno e quello ultraterreno, i fantasmi di Roma sono ormai parte integrante dell’identità urbana, cittadini onorari inscindibili dai luoghi iconici in cui, volenti o nolenti, sono confinati. I loro nomi, un tempo sussurrati a mezza voce, sono ormai noti a tutti i romani, tramandati di generazione in generazione e, così, entrati di diritto nella cultura popolare che mantiene viva la memoria del sanguinario Mastro Titta, della Pimpaccia sul suo carro infuocato e della bella Messalina che vaga sul Colle Oppio. Insomma, preparatevi a un tour – al chiaro di luna –  tra le ombre della Città Eterna.

Mastro Titta

Fantasmi di Roma
Ponte Sant'Angelo. Shutterstock by Robert Harding

Percorrere Ponte Sant’Angelo durante la notte può essere affascinante quanto rischioso. Si dice che vi si aggiri il fantasma del boia più famoso di Roma, Giovanni Battista Bugatti, conosciuto come Mastro Titta, che qui giustiziò alcuni degli oltre 500 condannati a morte della sua lunghissima e onorata carriera, tra il XVIII e il XIX secolo.

Ai carnefici non era consentito abitare all’interno della cinta muraria cittadina, per cui erano soliti trovare alloggio al di là del Tevere, tra Castel Sant’Angelo e il Vaticano. Mastro Titta, nello specifico, abitava in vicolo del Campanile 2, nel Rione Borgo, e per prestare i suoi richiestissimi servigi doveva quindi attraversare Ponte Sant’Angelo, da cui una delle espressioni popolari più conosciute dell’epoca, ossia “Mastro Titta passa ponte”, che voleva dire che qualcuno, quel giorno, sarebbe stato giustiziato. Addolcite solo dall’offerta di un po’ di tabacco prima del colpo di grazia, le sue pratiche erano di proverbiale efferatezza. A confermarlo un’ampia platea di spettatori animata tradizionalmente soprattutto da padri di famiglia, che portavano i loro figli maschi per ammonirli rispetto alle conseguenze di un’eventuale infrazione della legge, con tanto di sganassone al momento dell’esecuzione. Nel 1864 il boia andò in pensione, ma non fu un addio definitivo. O, almeno, così pare. Ancora oggi, avvolto nel suo mantello scarlatto, pare ami offrire una presa di tabacco da masticare a chiunque incontri per la sua strada. Uomo avvisato…

Messalina

Busto di Messalina. Photo by Wikimedia Commons

Nei pressi del Colosseo, accanto ai resti del Tempio dedicato all’Imperatore Claudio, si aggira invece uno degli spettri più celebri dell’epoca imperiale: una figura femminile avvolta in un peplo candido, con bracciali e collane lucenti, un diadema tra i capelli, eternamente alla ricerca di un nuovo amante. È Messalina, la splendida figlia del console Marco Valerio Messalla Barbato e di Domizia Lepida. A soli quattordici anni fu costretta dall’imperatore Caligola a sposare Claudio, cugino di sua madre e futuro imperatore, un uomo balbuziente, claudicante e con trent’anni più di lei, già al suo terzo matrimonio.

Frustrata da una vita coniugale non dissimile da una prigionia, Messalina si abbandonò a una condotta disinibita, fatta di relazioni clandestine e incontri nei lupanari di Roma, presto nota a tutta la città, ad eccezione di Claudio. Quando si innamorò del console Gaio Silio, arrivando perfino a inscenare un matrimonio con lui, l’imperatore ne ordinò l’esecuzione. Morì a soli 23 anni per mano di un tribuno, che, colpendola, avrebbe detto: “Se tutti i tuoi amanti ti piangeranno, allora metà di Roma sarà in lacrime”.

Beatrice Cenci

Fantasmi di Roma
Ritratto di Beatrice Cenci. Photo by Wikimedia Commons

Tra i fantasmi più famosi di Roma impossibile non annoverare Beatrice Cenci, giovane nobildonna vissuta nel tardo Rinascimento, segnata da un destino così crudele da divenire materia d’ispirazione per Shelley e Stendhal. Beatrice visse sotto il giogo di un padre-padrone, Francesco Cenci, conosciuto in tutta la Capitale per la sua brutalità. Anni di abusi la spinsero a cercare aiuto, ma i suoi appelli caddero nel vuoto; stremata, insieme alla matrigna Lucrezia, ai fratelli Giacomo e Bernardo, al castellano Olimpio Calvetti e al maniscalco Marzio da Fioran, architettò quindi l’uccisione del padre. A delitto compiuto, il corpo fu gettato da una balaustra per simulare un incidente, ma, il 9 settembre 1598, fu ritrovato in un orto ai piedi della Rocca e le ferite apparvero subito sospette: durante le indagini, tutti i coinvolti confessarono e furono condannati a morte.

L’esecuzione avvenne l’11 settembre 1599, all’alba. Beatrice fu sepolta in forma anonima nel cimitero di San Pietro in Montorio, come previsto per i condannati, ma il suo riposo non durò: nel 1798, durante l’occupazione francese, i soldati distrussero le lapidi del cimitero, e i suoi resti andarono perduti – si racconta persino che il suo teschio fu usato come palla da gioco. Da allora, secondo alcune testimonianze, nella notte tra il 10 e l’11 settembre, il fantasma di Beatrice Cenci apparirebbe nei pressi di Castel Sant’Angelo, vagando con la testa tra le mani.

La Pimpaccia

Fantasmi di Roma
Piazza Navona. Shutterstock by Nejdet Duzen

A piazza Navona, visse e dominò Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, passata alla storia come la “Pimpaccia” e oggi tra i fantasmi più famosi di Roma. Nata a Viterbo in una famiglia modesta, a vent’anni sposò in seconde nozze Pamphilio Pamphilj, nobile romano molto più anziano, fratello del futuro Papa Innocenzo X. Una manovra strategica che le diede modo di esercitare presto un potere silenzioso quanto assoluto, plasmato dall’ambizione più sfrenata. Alla corte papale, infatti, nessuna decisione importante veniva presa senza il suo assenso: ambasciatori, cardinali, artisti e mercanti sapevano bene che, per raggiungere il pontefice, bisognava prima ottenere il favore di lei. In cambio, riceveva ricchezze e gioielli, al punto che il suo nome era ormai per la Capitale sinonimo di opulenza e scandalo – secondo indiscrezioni, arrivò a essere addirittura l’amante del Papa.

Lo scenario mutò drasticamente il 7 gennaio 1655, alla morte di Innocenzo X. Allora, intuita la fine di un'era, Donna Olimpia caricò due casse colme d’oro su una carrozza e fuggì da Roma. Il nuovo pontefice, Alessandro VII, la confinò a San Martino al Cimino e le ordinò di restituire quanto sottratto, ma lei si oppose fino alla morte, causata da una pestilenza due anni dopo. Da allora, ogni anno, nella notte tra il 6 e il 7 gennaio, si racconta che torni a infestare Roma, a bordo di una carrozza nera, avvolta dalle fiamme, tra piazza Navona e Ponte Sisto. Alla fine della corsa forsennata, il carro precipita nel Tevere, dove, si vocifera, i diavoli la attendono per trascinarla a fondo, nelle acque scure dell’Inferno.

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Barbara Balestrieri
Redattrice

Nata a Roma, laureata in Editoria e Scrittura e con un master in giornalismo multimediale, confida nelle parole come strumento di apertura verso il mondo e da sempre ama metterle nero su bianco. Affascinata dai racconti, che siano letterari, artistici o cinematografici, e dalle culture, vicine e lontane. Tallone d’Achille: i video con cani e gatti.

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