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A 50 anni da quella tragica alba del 2 novembre 1975, quando il corpo di Pier Paolo Pasolini fu ritrovato massacrato e senza vita all'Idroscalo di Ostia, vediamo perché il modo migliore per ricordare l'intellettuale, il regista, l'autore e l'uomo è guardare (e far guardare) Comizi d’amore, la sua opera forse più pura e rivelatrice.
P.P. Pasolini: «Professor Musatti e Moravia, io mi rivolgo a voi come a due autorità e vi chiedo che senso può avere fare un’inchiesta come quella che ho cominciato. Moravia, che ne pensi?».
A. Moravia: «Mah, penso che sia bene farla, qualunque siano gli effetti e i risultati di questa intervista; perché è una cosa che si fa per la prima volta, cioè per la prima volta, o quasi, credo che si faccia un film che i francesi chiamano cinema-verità, e per la prima volta questo cinema-verità in Italia parla della questione sessuale, la quale è tabù non soltanto sullo schermo, ma perfino nei salotti o nelle conversazioni abituali; perciò credo che in sé e per sé, l’intervista sia… sia bene farla».
C. Musatti: «Io penserei che la gente o non risponde o risponde in modo falso».

Marzo 1963. Pier Paolo Pasolini è in giro per l'Italia insieme al produttore Alfredo Bini, in cerca dei luoghi in cui girare il suo prossimo film, Il vangelo secondo Matteo. Approfittando di questo girovagare, il regista trova il materiale per un film-inchiesta, un documentario nel quale porre agli italiani la domanda delle domande: “Che cosa pensi dell’amore?”. Con tutto il sottotesto che ne deriva: cosa pensi della libertà, del corpo, della felicità matrimoniale, della sessualità, del buon costume, delle pari opportunità, degli "invertiti", del divorzio, della prostituzione e delle case di tolleranza, da poco messe al bando con la legge Merlin.
Il tutto, inframezzato dagli interventi di alcuni tra gli intellettuali più noti dell'epoca come Oriana Fallaci, Alberto Moravia, Cesare Musatti e Giuseppe Ungaretti.
Ispirandosi a Chronique d’un été, il documentario dell’antropologo Jean Rouch e del sociologo Edgar Morin – in cui gli autori indagano il grado di sincerità possibile davanti alla macchina da presa, interrogando persone comuni sulla felicità e sulla società francese – con Comizi d'amore Pasolini tenta così di restituire allo spettatore un ritratto di vizi, tabù e nevrosi dell’Italia dell’epoca.
Palermo, nel cortile di un quartiere popolare
PASOLINI: Senta signora, lei che cosa ne pensa dello stato di privazione in cui vivono le ragazze e in fondo anche i ragazzi qui in Sicilia?
SIGNORA: Eh, la persona priva, poi diventa più ostinata, viceversa la persona invece che è libera, la persona insomma, che è libera, si sa mantenere migliore di quelle che sono trattenute: cioè la persona che è stata trattenuta, poi si slancia e diventa pericolosa.
PASOLINI: Giusto, le donne, le ragazze soprattutto sono molto meno libere, non hanno la libertà che ha un uomo.
SIGNORA: È logico, questo è per tutte.
PASOLINI: Ma le sembra giusto che sia così o no?
SIGNORA: Veramente anche la donna avrebbe il dovere di avere un po’ di svago, un po di libertà.
PASOLINI: E come mai qui in Sicilia invece non c’è?
SIGNORA: Eh, siccome l’uso è così… Non ci facciamo tanto caso…
Sarà egli stesso a definire questa sua inchiesta come "Una crociata contro l'ignoranza e la paura".
La prima metà degli anni Sessanta, in Italia, rappresenta un periodo di profonde trasformazioni. L’economia del Paese sposta il proprio baricentro dall’agricoltura all’industria, raggiungendo livelli paragonabili a quelli di altri stati occidentali, il reddito medio delle famiglie cresce e beni di consumo, un tempo inimmaginabili, diventano accessibili a molti. Sono gli anni del boom economico, del consumismo che genera benessere e, in questo clima di rinascita sociale, si inizia a parlare di diritti civili, di parità di genere e di libertà sessuale.
È questo il contesto in cui Pasolini si muove, mentre pone le sue scomode domande agli italiani, fra tabù, silenzi, pregiudizi e dogmatiche verità.
Roma, quartiere Eur
PASOLINI: Comunque tu da borghese ti senti un dongiovanni?
1° MILITARE: No… Un dongiovanni… Mi sono, mi sono espresso un po’, un po’ male. Eh …
PASOLINI: Ma insomma, ti piacerebbe esserlo un dongiovanni o no?
1° MILITARE: Ma, sinceramente, no.
PASOLINI: No, e perché?
1° MILITARE: È la società che mi rende… Questa società, bisogna essere dongiovanni altrimenti…
PASOLINI: In questa società bisogna essere dongiovanni, perché, se no…?
1° MILITARE: Se no… Sei un fallito.

Oggi chiunque può prendere una videocamera, un microfono e andare in giro per l'Italia a chiedere a persone di ogni età e ceto sociale che cosa ne pensano del divorzio, della parità tra i sessi e della prostituzione. Ma negli anni della cosiddetta mutazione antropologica, un’indagine di questo tipo aveva un valore non solo politico, ma esistenziale: quello di Pasolini fu un gesto fondamentale perché realizzato in un momento storico di svolta, dopo il quale nulla sarebbe più stato come prima.
Queanto emerge da queste interviste è paragonabile a un serpente che sta facendo la muta: mentre pian piano perde la vecchia pelle per crescere in un nuovo involucro che possa contenerlo. Ed è evidente il profondo scollamento tra quello che appare e quello che viene detto. Così gli intervistati meno timidi e meno spaventati dalla macchina da presa, parlano di emancipazione con apparente dimestichezza, mentre i loro volti e i loro corpi mostrano evidenti segni d'impaccio, e confondono il sesso con il peccato, l’amore con l’obbligo sociale mentre utilizzano parole come “vergogna” e “rispetto” come fossero sinonimi.
Oggi, guardare quei contadini che sentenziano sull'“onore della donna”, quei ragazzi che dicono che “l’omosessualità è una malattia” e le signore che sostengono che “una moglie deve obbedire” e che "il delitto d'onore va difeso", fa un certo effetto e induce anche sensazioni di sdegno. Poi però i fatti di cronaca ci riportano dritti a quegli anni e a quel mondo: i protagonisti hanno abiti diversi, si esprimono con termini moderni, ma la sovrastruttura mentale e sociale è rimasta la stessa.
Segno che Pasolini non è tanto da commemorare, ma ancora da ascoltare.
Presentato al Festival di Locarno il 26 luglio 1964, Comizi d'amore uscirà nelle sale l’anno successivo, vietato ai minori di diciotto anni. Noi, invece possiamo guardare l'opera più pura di Pier Paolo Pasolini su Amazon Prime Video.
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