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Con Cinque Secondi, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2025, Paolo Virzì torna al cinema con un’opera sulla famiglia intensa e intima che riflette sul dolore, la paternità e la possibilità di ricominciare. Protagonista è un uomo solo e disilluso, un borghese romano che, dopo un grave lutto familiare, si rifugia in una campagna selvatica e inospitale per fuggire da tutto e da tutti.
L’incontro inaspettato con con una comunità di ragazzi che inizialmente osserva con diffidenza, sarà l’occasione per rimettere in discussione la propria vita e riscoprire il valore delle relazioni umane. Alla conferenza stampa il regista toscano ha raccontato le origini del progetto, il tono emotivo della storia e il lavoro con gli attori Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi, Galatea Bellugi e Ilaria Spada. Un film che mescola ironia e malinconia, fedele allo stile del regista, ma capace di esplorare territori nuovi e profondamente umani.
Dopo alcuni film più pessimisti e introversi sei tornato a guardare il mondo con più tenerezza e fiducia?
Paolo Virzì: Questo in realtà è un film dolorosissimo, però con uno spiraglio di fiducia verso i rapporti, la possibilità di riparare e generare accudimento anche dopo un percorso verso il dolore, e un lutto. Volevo partire dal buio e dall'abisso di una persona e capire cosa succede nell’animo di questa persona.
Il personaggio di Mastandrea mette in discussione la sua vita, fa riflettere su cosa vuol dire essere un padre, generare dei figli. Il film si chiede cosa sia una famiglia, come riformulare questo concetto, attraverso la storia di questo borghese di Roma nord a cui un incidente ha sconvolto l’esistenza.
Un solitario misantropo viene disturbato dai vicini di casa e subisce una incursione da una socia del suo studio che lo scuote e gli rompe le scatole ma alla fine tutto questo si rivelerà una cura. Questo è un film semplice come ambientazioni. La campagna non è pittoresca, rassicurante, turistica come viene di solito rappresentata la Toscana, ma è un cespuglio selvatico che poi viene curato e produce i suoi frutti.
Avevi già pensato agli attori in fase di scrittura?
Virzì: Ho pensato a Valerio quando ho scritto il soggetto e avevo la speranza che Valeria Bruni Tedeschi accettasse il ruolo di Giuliana anche se era un piccolo ruolo. Anche se io credo che non esistono piccoli ruoli ma solo piccoli attori. A Valerio e Valeria piace coniugare umorismo e dolore come me, mentre Galatea ha anche una sua ambiguità che mi piace, l’avevo vista in Gloria. Ilaria Spada mi ha spesso fatto ridere e volevo coinvolgerla in un ruolo drammatico.
Come ha detto Paolo, tu Valerio sei stato un po' la spinta per fare questo film e nella vita sei diventato veramente padre. Cosa rappresenta questo ruolo per te?
Valerio Mastandrea: Paolo mi ha mandato un soggetto di 15 pagine e avevo subito esplorato delle emozioni, l’ho insultato perchè mi ero commosso nella lettura del soggetto, ancora prima di leggere il copione. Lui asseconda le mie cialtronerie e io le sue e teniamo il timone anche di un personaggio malinconico, ma contaminandolo con una certa leggerezza. Non c’è mai stato un contrasto con Paolo, ci siamo sempre compensati. Questo personaggio ha toccato delle cose mie, forse è quello che ho sentito più vicino a me tra gli altri ruoli fatti fino a oggi. Lavorare con Valeria finamente gomito a gomito è stata un'esperienza imprevedidibile e molto utile.
Valeria il tuo ruolo è diventato più grande di come era scritto? Giuliana è una donna che dietro l’esuberanza nasconde fragilità e dolori forti, cosa ci puoi dire di questo personaggio?
Valeria Bruni Tedeschi: Era già scritto così, l’ho incarnato e abitato entrando nell’universo di Paolo con grande piacere e anche con l’obbligo di rimettere la spina - che a volte stacco - essere in contatto con la luce dentro di me e provare gratitudine verso la vita che a volte dimentico.
I film di Paolo hanno qualcosa che eticamente mi interessa molto, mi mettono in contatto con la gratitudine, è miracoloso in un certo senso perchè quando se uno si obbliga a essere grato alla vita a volta si sente meglio. Stare sul set di lui è una sorta anche di terapia sanitaria per me, come una cura termale. Non abbiamo la stessa visione della vita, ma ridere anche della tragicità per noi è come l’ossigeno, ci accomuna e ci ispira.
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