Food & Drink

I 10 Presidi Slow Food dell’Umbria

Dal grano saraceno della Valnerina al sedano nero di Trevi
A cura di   Giulia Mariani

Ristorante in un classico vicolo umbro

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Ristorante in un classico vicolo umbro

Ristorante in un classico vicolo umbro

In Umbria esistono 10 Presidi Slow Food, prodotti autoctoni delle terre umbre tutelati per la loro qualità e rarità. Se le terminologie Denominazione di Origine Protetta o Indicazione Geografica Consigliata sono ormai entrate a far parte del lessico comune, i presidi slow food sono ancora un qualcosa da chiarire. Questa definizione indica la selezione di prodotti del territorio accuratamente individuati dall’associazione no profit Slow Food per la loro genuinità. I Presidi Slow Food sono prodotti da piccole aziende agroalimentari e sono caratterizzati da rischio di estinzione, forte legame con il territorio, produzione limitata e con una certa etica socio-ambientale e buone qualità organolettiche. Insomma: sono varietà agroalimentari accuratamente selezionati da pool di esperti che hanno a cuore la qualità degli alimenti, in senso ampio.

Il progetto

Il Progetto Presidi Slow Food nasce nel 1999 come continuazione dell’allora Arca del Gusto. La nascita di questa realtà è fortemente legata alla necessità di contrastare l’omologazione alimentare e proteggere le eccellenze del territorio, minacciate ieri come oggi dalla sempre più ampia diffusione dell’agricoltura intensiva industriale e del conseguente degrado ambientale. L’obiettivo è la tutela della tradizione enogastronomica del Belpaese, con attività di salvaguardia e promozione di queste pietanze autoctone e il tramandamento dei mestieri e delle tecniche peculiari. Lo standard qualitativo è uniforme tra le varie Regioni.  Nonostante non sia una certificazione ufficialmente riconosciuta, come lo sono quelle DOP e DOC, per esempio, permette ai consumatori e al terzo settore di muoversi agilmente tra le varie realtà produttive e scegliere quella che più rispecchia la propria etica.

Quali sono i presidi Slow Food in Umbria

Sul sito web di Slow Food si può navigare su un mappamondo interattivo e individuare tutti i prodotti che godono di questa certificazione. Attualmente, i Presidi Slow Food sono 684 in 70 Paesi, di cui 393 in Italia, 10 in Umbria. Poco conosciuti dalle masse, sono diventati il simbolo della qualità dei prodotti territoriali umbri, proprio perchè si possono consumare soltanto qui. Dagli ortaggi e legumi, più vicini alla cura della terra, alle produzioni casearie e di norcineria, che si legano maggiormente al lavoro artigianale delle antiche realtà umbre: variegata è la categorizzazione di questi alimenti. Vediamoli nel dettaglio.

Fagiolina del Trasimeno, Presidio Slow Food dell'Umbria
Fagiolina del Trasimeno - Shutterstock by Matteo Gabrieli

Fagiolina del Trasimeno

La fagiolina del Trasimeno è uno dei Presidi Slow Food dell’Umbria maggiormente a rischio di estinzione. Legume policromo di minuscole dimensioni altamente diffuso fino agli anni Cinquanta, a causa delle grandi produzioni industriali è quasi scomparso del tutto. La coltivazione è molto lunga e complessa: localizzata esclusivamente nell’area intorno al Lago Trasimeno, prevede che sia fatto tutto manualmente, dalla semina alla battitura. La maturazione non avviene tutta insieme, ma in vari momenti, perciò è necessario fare la raccolta quotidianamente. Si tratta di un prodotto molto delicato che non può essere affidato alle strumentazioni tecnologiche, la cui lentezza di coltivazione sfida la velocità produttiva dei tempi moderni. Ogni anno non si eccedono i 9 quintali di fagiolina del Trasimeno, la produzione è limitata a piccole aziende agricole familiari e il rischio di scomparsa è molto alto. Si cucina in modo molto semplice, come richiede la tradizione contadina: quello essiccato semplicemente lessato e condito con l’olio, quello fresco cotto al tegame con pomodoro e aglio.

Fagiolo secondo del piano di Orvieto

Varietà di legume il cui nome racconta la geografia e la cronologia della semina: si tratta di un fagiolo di seconda semina, dopo la mietitura del grano, localizzabile esclusivamente nel territorio della seconda piana di Orvieto, lungo l’argine del fiume Paglia e la città di Allerona. Queste terre molto fertili e permeabili in passato hanno permesso raccolti molto abbondanti, tanto da essere una delle merci di scambio predilette dagli orvietani. Inoltre, questo legume non necessita di troppa cura, essendo il ciclo produttivo molto breve e i trattamenti marginali. Fino al secondo dopoguerra era un alimento molto apprezzato, ma pian piano la produzione è saltata e sono pochi i coltivatori che, avendo ereditato le sementi dai famigliari, ora si occupano di tenere in vita questa coltivazione. Al gusto è molto delicato e si può trovare principalmente nella versione “all’uccelletto”, ossia ripassato in padella con aglio, olio, salvia e pomodoro.

Vinosanto da uve affumicate dell’Alta Valle del Tevere, tra i Presidi Slow Food dell'Umbria
Filari di uva a essiccare per fare il vinosanto - Shutterstock by Marco Taliani de Marchio

Vinosanto da uve affumicate dell’Alta Valle del Tevere

Di vinosanto si sente parlare in Umbria e nella vicina Toscana, accompagnato dai cantucci, ma quello dell’Alta Valle del Tevere è un Presidio Slow Food ancor più particolare. Nella zona di Città di Castello, è nata la tradizione dell’appassimento dei grappoli per il vinosanto all’interno di locali ricchi di fumo. Tutto è nato per caso, essendo le case ricche di stufe e camini, ma con il tempo si è iniziata ad apprezzare molto questa sfumatura affumicata delle uve dell’Alta Valtiberina. In particolar modo, questa tecnica è legata alla produzione di tabacco, di cui la zona è stata una grande produttrice. Le foglie di tabacco venivano messe ad essiccare nelle stesse stanze dei grappoli per il vinosanto, lasciando alle uve non solo il sentore di affumicato, ma anche quello di tabacco: proprio da qui, sigaro e vinosanto sono diventati un abbinamento evergreen. Ora i vigneti che se ne occupano sono tanti, ma tutti di piccole dimensioni e legati al valore affettivo, famigliare, di questa varietà di vino amabile invecchiato. Ad oggi questi piccoli produttori sono riuniti in un Consorzio e il prodotto è riconosciuto come Bianco Passito IGT Umbria.

Fava cottòra dell’Amerino

La zona dell’Amerino, circoscritta tra i comuni di Amelia, Terni e Orvieto, nell’Umbria più meridionale, è una zona ricca di terreno argilloso privo di calcare attivo. Un terreno di questo tipo assicura prodotti della terra molto morbidi e facilmente digeribili: le fave cottòra qui coltivate non hanno bisogno di essere decorticate e si cuociono molto velocemente - da qui, il nome còttora. Questa varietà di fava molto piccola è un ecotipo riprodotto di generazione in generazione solo sul territorio dell’Amerino che è diventato sempre più forte, in grado di resistere alle avversità naturali. Anche in questo caso le operazioni con supporto meccanico sono molto poche e dev’essere fatto quasi tutto manualmente: dopo la pulitura, ad esempio, i semi sono selezionati e conservati in barattoli di vetro insieme a degli spicchi d’aglio, per insaporire. Sono molte le ricette, ma il consumo più tradizionale è la striscia con le fave, preparata in occasione della capatura del maiale, tra dicembre e gennaio. Le fave lessate vengono condite con il grasso ottenuto dallo scioglimento nella cottura della zona ventrale del maiale, il cosiddetto ”grasso e magro”. 

Fioritura del grano saraceno della Valnerina
Fioritura del grano saraceno della Valnerina - Shutterstock by olko1975

Grano saraceno della Valnerina

In Valnerina la presenza di grano saraceno è attestata sin dal Medioevo, tanto da essere annoverata in alcuni documenti dell’epoca come pianta medicinale. La presenza di questo cereale, è molto curiosa, essendo l’area della Valnerina caratterizzata da estati non torride e inverni rigidi, a causa dell’altitudine della zona appenninica. Non è il clima a essere importante, quanto l’irrigazione costante, che il fiume Nera assicura in tutto il territorio. Questo cereale è stato coltivato per secoli a oltre 600 metri di altitudine, ma dai primi del Novecento, in seguito al progressivo spopolamento delle zone di montagna e alla raccolta troppo laboriosa, l’import di grano saraceno è aumentato e sono più poche le realtà che in Valnerina si occupano di questa coltura. Prodotto dalle alte proprietà salutistiche e consumabile in differenti vesti, è presente nei ristoranti e nelle case degli umbri soprattutto in forma di zuppa con legumi.

Ricotta salata della Valnerina

Si resta in Valnerina per scoprire l’unico prodotto caseario dei Presidi Slow Food dell’Umbria. La pastorizia è stata per lungo tempo una delle attività principali dell'area boschiva della Valnerina, tanto da essere anche meta di transumanza. Erano tante le attività agricole di stampo familiare con allevamenti di ovini e caprini. Queste ultime, per la transumanza, si spostavano in autunno verso l’Alto Lazio, terra dal clima più mite rispetto agli inverni rigidi degli Appennini. Durante questi spostamenti, c’era necessità di conservare a lungo i prodotti alimentari, tra cui anche i formaggi e la ricotta. I pastori mettevano una parte della ricotta, per evitare che andasse a male, in un sacco di canapa per poi essere strizzata, salata e lasciata ad asciugare in cantina. Questa ricotta stagionata è ancora prodotta, ha la forma di una pera e può essere ricoperta anche con crusca o erbe aromatiche. Ora la transumanza è una pratica poco diffusa, ma la ricotta salata della Valnerina, seppur raro, continua a essere un prodotto locale molto apprezzato,di cui recentemente sono aumentate le produzioni.

Sedano nero di Trevi, Presidio Slow Food dell'Umbria
Vendita al mercato locale di sedano nero di Trevi - Creative Commons

Sedano nero di Trevi

Il sedano nero è un ortaggio pregiato coltivato esclusivamente nei pressi delle fonti del Clitunno, un tempo considerate sorgenti sacre e celebrate da Goethe, Carducci, Byron. Era una delle verdure maggiormente servita ai passeggeri durante i lunghi viaggi in nave verso le Americhe, poichè si conserva per molto tempo. Le coste sono molto scure e prive di fastidiosi filamenti. Con l’arrivo del sedano americano, molto più semplice da coltivare, questa varietà di sedano è andata via via scomparendo. Ogni stagione i coltivatori conservano i semi migliori per portare avanti la tradizione, ma questa cultura non è più così diffusa. Il certificato di Presidio Slow Food dell’Umbria ha fatto guadagnare una visibilità tale da incentivare gli acquisti e, quindi, la produzione. Sono gli stessi vigili comunali a registrare i quantitativi messi a dimora e a stimare la resa, per tutelare la qualità e la diffusione del genere alimentare. La parmigiana di sedano nero è una delle modalità più succulente per consumare questo prodotto agricolo.

Mazzafegato dell’Alta Valle del Tevere

L’Umbria è terra di frattaglie. La tradizione della capatura del maiale ha fatto sì che generazioni su generazioni apprendessero come non sprecare nessuna parte del maiale, neanche quelle parti più bistrattate, come il fegato. Nell’Alta Valle del Tevere, soprattutto nella zona tifernate, è presente una varietà di salume insaccato particolare. Si realizza con carni rosse non utilizzate in altro modo (fegato, cuore, polmone e altri scarti) e speziatura, di cui ciascuno conserva la dose segreta. Sembra che la base sia sale, pepe, scorza di limone e di arancia, aglio e fiori di finocchio. La verità, però, è che la ricetta è strettamente personale. Riconosciuto in passato come il fratello povero della salsiccia, sono ormai pochi i macellai che lo producono, quasi esclusivamente per le comunità locali. Il mazzafegato si mangia cotto alla brace, a distanza di 7-10 giorni dal momento della legatura dell’impasto all’interno del budello. Nato come prodotto povero, per la necessità di consumare ogni singola parte del maiale, è diventato un’eccellenza della norcineria di artigianato.

Roveja di Civita di Cascia, Presidi Slow Food dell'Umbria
Semi del legume Roveja di Civita di Cascia - Shutterstock by anna.q

Roveja di Civita di Cascia

Ultimo legume della lista dei Presidi Slow Food dell'Umbria è la roveja, molto simile al pisello, dalle tonalità del verde scuro, del marrone, del grigio. Si coltiva soprattutto nelle alte zone dell’Appennino umbro-marchigiano, soprattutto in corrispondenza dei Monti Sibillini. Si tratta di un legume che cresce anche spontaneamente sulle scarpate montane, data la poca necessità di irrigazione e la resistenza alle basse temperature. La roveja è un alimento fit, ricco di proteine e potassio. Sembra essere il progenitore del pisello comune: molto più resistente proprio perchè più antico. Anche questa coltura si è via via andata perdendo. I motivi sono gli stessi dei legumi sopracitati: abbandono delle zone montane e impossibilità della cura con supporti meccanici. La roveja, ad esempio, si deve falciare a mano. Si può mangiare fresca o essiccata, ma senz’ombra di dubbio la forma in cui è maggiormente diffusa è quella macinata a pietra: con la farina di roveja si può fare la farecchiata, una polenta tradizionale dal sapore vagamente amaro.

Cicotto di Grutti

L’ultimo Presidio Slow Food dell’Umbria è il cicotto di Grutti, una pietanza a base di carne di maiale - tutti i tagli, tra cui orecchie, zampetti, lingua - cotti</span>. Il termine, nel Cinquecento, indicava proprio lo zampetto del maiale. Il cicotto di Grutti è localizzato esclusivamente nella frazione di Grutti, un borgo di cinquecento abitanti del comune di Gualdo Cattaneo. C’è ancora forno a legna comunale che vende tuttora questo alimento, ma è soprattutto nelle case dei locali, infatti, che è maggiormente diffuso. Il cicotto è strettamente legato alla preparazione della porchetta. Va inserito in forno nel ripiano sottostante la porchetta, per raccogliere tutti i succhi e i grassi che quest’ultima espelle nella lunga cottura. Raccogliendo i condimenti della porchetta, gli unici ingredienti proprio del cicotto sono pepe nero, finocchio, rosmarino e aglio rosso di Cannara. Attualmente, sono soltanto due i produttori di questo prodotto, che proprio per questo motivo va salvaguardato.

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