Artivism, quando l'arte si fa critica sociale
Il mezzo artistico come strumento di diffusione del raziocinio umano
Chi è davvero Banksy? L’identità di questo artista è da sempre al centro dell’indagine dei media e il mistero che si cela dietro la sua figura è, senz’ombra di dubbio, parte della fascinazione che proviamo nei suoi confronti. Dello street artist più famoso e provocatorio del globo si sa poco e quel che si sa non è mai stato confermato dalla fonte primaria - nonostante negli anni si sia dotato di una factory con annesso ufficio stampa. Questo perché, in fin dei conti, il grande punto interrogativo su chi è davvero Banksy, sulla sua reale identità, crea hype e fa rumore.
Le uniche informazioni anagrafiche su cui sembra esserci unanimità sono il luogo e l’anno di nascita: Bristol, 1974. Ma fin qui, nulla di tangibile. Non ha mai rivelato indizi sulla sua identità, al massimo si è lasciato sfuggire qualcosa nei posti in cui era di passaggio e in cui ha lasciato sui muri il segno della sua guerrilla art di denuncia. Sappiamo che è passato per il lato palestinese del muro che divide Israele e Giordania e che possiede il Walled-off Hotel a Betlemme - un hotel emblematicamente vista muro, anziché vista mare - , che ha finanziato una ONG per le operazioni umanitarie di salvataggio in mare e si è inoltrato nell’Ucraina invasa. Sono molte le opere che ha realizzato in queste località e che perseguono l’obiettivo di mettere in luce le questioni del conflitto israelo-palestinese, della resistenza ucraina e dei naufragi dei migranti, criticando apertamente le mosse della politica. Creativo e dissidente dal linguaggio universale, Banksy non si espone particolarmente neanche sui social, né tantomeno fa trapelare informazioni personali: il suo profilo Instagram conta 13,2 milioni di follower, ma con una frequenza di pubblicazione sporadica e raramente accompagnata dai testi. Le sue immagini sono così potenti che non c’è bisogno di nient’altro.
Per cercare di capire chi è davvero Banksy è necessario tornare indietro nel tempo, alla fine degli anni Ottanta, quando nella città di Bristol iniziarono a comparire alcune opere di street art firmate dai tag Kato o Tes, riproposte in seguito con la sua ormai celebre firma. Tra queste il noto Flower Thrower. Il re britannico dei drum’n’bass anni ‘90 e della street art Goldie, interno al giro del graffitismo made in England, durante una diretta radiofonica, mentre parlava dell'ineffabile Banksy, si fece sfuggire con nonchalance un nome: Robert. Pensando che tra street artist ci si conoscesse tutti, per lungo tempo si accostò il nome di Banksy a quello di Robert Del Naja, front man dei Massive Attack e graffitaro DOC. Dopo un silenzio stampa senza conferme né smentite, però, quella di Goldie si risolse in una semplice, quanto rumorosa gaffe. Da tempo circolano voci sull’esistenza di un collettivo Banksy e non soltanto di un singolo street artist: questo renderebbe più plausibile la capillarità di azione in tutto il mondo, anche in tempi ravvicinati, e concorrerebbe a rendere ancor più misterioso l’identikit dell’artista.
A prescindere da Banksy, il gioco dell’identità nascosta e degli pseudonimi è da sempre un grande leitmotiv nel mondo dell’arte: dalle elucubrazioni su Elena Ferrante - ricordate quando si diceva che fosse Domenico Starnone? E quando, addirittura, nel 2016 è uscita l’inchiesta del Sole24Ore che sosteneva che fosse sua moglie, la traduttrice Anita Raja? - ai titoli bestseller di Richard Bachman, che ben presto si è scoperto, grazie alle analogie individuate da un libraio di Washington DC, che si trattava di Stephen King. Chi è davvero Banksy resta ancora un mistero. E, forse, ci piace così.
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