Arte & Cultura
Le storie dei dipinti di Caravaggio, Autoritratto in veste di Bacco
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Le storie dei dipinti di Caravaggio, Autoritratto in veste di Bacco
Se c’è un artista i cui dipinti hanno delle storie assurde è sicuramente Caravaggio, e nel 2025 a Roma c’è una mostra dedicata proprio a lui. Dal 7 marzo al 6 luglio 2025 Palazzo Barberini ospita Caravaggio 2025, una delle esposizioni più iconiche dell’anno del Giubileo. Si configura come un evento ambizioso per la rinnovata chiave di lettura con cui viene presentata l’arte caravaggesca, ma anche per l’eccezionale numero di dipinti autografi, più o meno noti, con le storie più o meno inconsuete.
Caravaggio è rinomato per essere un artista attorno a cui aleggia un alone di mistero. Nei secoli, sue opere sono state ritrovate in molte parti d’Europa, senza sapere come ci siano giunte. Non è raro che lasciasse i dipinti senza firma, tanto che spesso si tratta di opere attribuite. Quando invece le firmava, lo faceva come tratto distintivo, quasi scenografico: la Decollazione di san Giovanni Battista, conservata alla Concattedrale di San Giovanni a La Valletta, è stata firmata letteralmente e misteriosamente con il sangue. Accanto alle opere più celebri o ai prestiti rari, all’interno della mostra Caravaggio 2025 sono esposti alcuni di questi dipinti dalle storie complesse. È proprio questa componente a rendere la mostra è ancor più interessante.
È la prima volta che questa opera viene esposta insieme ad altre del Merisi, grazie al prestito dalla collezione privata in cui si trova. Si tratta di un dipinto dalla storia particolare: è stato riscoperto nel 1963 e soltanto da poco è tornato a essere presentato al pubblico. Lo hanno chiamato il “quadro chimera”, per la sua latitanza: per oltre mezzo secolo non si era saputo più niente di questo dipinto tardivamente attribuito al Merisi. Esposto per la prima volta in assoluto a novembre 2024 a Palazzo Barberini, il fatto che questo ritratto di Maffeo Barberini, poi papa Urbano VIII, abbia rivisto la luce è di grande importanza. Caravaggio dipinse molti ritratti, quasi tutti, però, andati distrutti o perduti. Il ritrovamento di quest’opera va a colmare, quindi, una lacuna storica: la ritrattistica caravaggesca, un lato del Merisi che ancora deve essere approfondito. La rappresentazione della complessità dell’animo umano passa anche, e soprattutto, dalla capacità di ritrarre i volti del proprio tempo, con chiave stilistica individuale: trovare il Ritratto di Maffeo Barberini in Caravaggio 2025 è un evento di rara importanza.
Eseguito nel 1610, è, di fatto, l’ultimo dipinto di Michelangelo Merisi, morto ad Arpino proprio nel luglio di quell’anno. Il Martirio di Sant’Orsola è esposto in prestito da Intesa San Paolo ed è oggi conservato nelle Gallerie d’Italia di Palazzo Piacentini a Napoli, sede storica del Banco di Napoli. Questo dipinto, dai colori molto scuri, profondi, fu commissionato dal banchiere genovese Marcantonio Doria. Rappresenta, su richiesta, sant’Orsola: la figliastra di Doria, Anna Grimaldi, aveva preso i voti monacali assumendo proprio questo nome. Caravaggio dipinse quest'opera molto velocemente. Era in procinto di partire per Porto Ercole – viaggio in cui trovò la morte –, ma soprattutto ricevette molte pressioni da Doria. Come riporta una lettera datata 11 maggio 1610, il dipinto fu consegnato che non era ancora asciutto. Per circa due secoli non si ebbero tracce e fino al 1954, non essendo autografo, non fu neanche riconosciuta l’attribuzione al Merisi. Negli ultimi settanta anni ha finalmente potuto godere della gloria che meritava.
È il primo soggetto sacro rappresentato da Caravaggio, nel 1595. La sua, infatti, si configura come una poetica tipicamente laica, molto vicina al popolo e ai racconti di lettere, con qualche eccezione. Tra queste, c’è proprio San Francesco in estasi, attualmente conservato al Wadsworth Atheneum of Art di Hartford. All’interno di Caravaggio 2025, torna esposto nel trio storico, insieme a Giuditta e Oloferne e a San Giovanni Battista. Tutti commissionati in blocco dal banchiere Ottavio Costa, sono l’emblema della rivoluzione del mercato dell’arte compiuta dal Merisi. Questi dipinti di Caravaggio hanno poi vissuto storie e vicende che li hanno portati alla lontananza. Ormai divisi, sono stati conservati in varie parti del mondo – Roma, Kansas City, Hartford. Un’opera va sempre interpretata a partire dal dialogo che instaura con le altre poste a fianco, perciò rivedere questi dipinti di nuovo insieme, come erano stati immaginati e commissionati, è di importanza storica.
Questa opera del 1598 è attualmente conservata al Detroit Institute of Arts, in Michigan, ma torna in patria per un evento più unico che raro. Per la prima volta sarà esposto vicino alla Giuditta di Giuditta e Oloferne, già conservata a Palazzo Barberini: la modella è la stessa. La sensibilità propria di Caravaggio nella resa della dimensione umana, sia fisica che emotiva, è resa così lampante. Nel dipinto di Detroit, la modella è colta in un momento di ascolto e di attenzione, come si evince dalla protrusione delle labbra e dallo sguardo acceso con cui ascolta il tentativo di conversione di santa Marta. Nell’opera romana, invece, Giuditta sta sgozzando Oloferne e ha uno sguardo corrucciato, concentrato, quasi preoccupato, ma spaventosamente realistico. È interessante notare, quindi, come sia riuscito a declinare la fisiognomica della stessa modella in due espressività così differenti. Nonostante possa sembrare, tra le storie dei dipinti di Caravaggio, la più comune con gli altri artisti, è in realtà una curiosità particolarmente interessante perché permette di comprendere il lavoro profondo che Michelangelo Merisi faceva sulla resa emotiva di ogni singola opera d’arte.
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