Il carnevale di Tricarico e le tradizioni della Basilicata
Il Carnevale di Tricarico - Shutterstock by illpaxphotomatic

Viaggio nella Basilicata magica

Lucania da scoprire, fra tradizione e rituali folkloristici
A cura di Giulia Mariani
Articolo pubblicato il:
10 Marzo 2025

Le tradizioni della Basilicata sono da secoli oggetto d’interesse per etnologi e antropologi di tutto il mondo. In questa terra la magia gioca ancora un ruolo identitario importante, definendo ancor di più questa regione già fortemente caratterizzata. Non si tratta soltanto di storie del passato, ma di leggende e racconti tramandati che vivono ancora, cadenzando stagioni e momenti della vita ed essendo parte integrante del bagaglio culturale popolare. Rituali antichi, di matrice agreste, che intrecciano paganesimo e cristianesimo, e celebrazioni di personaggi leggendari sono ancora attività importanti, soprattutto nei borghi più piccoli. L’equilibrio in questi luoghi va ricercato anche nell’apparato magico-ritualistico che lo caratterizza, come spiega bene anche Ernesto de Martino, etnologo che a metà Novecento ha approfondito la questione lucana. 

Ernesto de Martino

Le tradizioni magiche della Basilicata sono state al centro degli studi di uno dei più grandi esperti di folklore d’Italia. Tra 1952 e 1956 Ernesto de Martino ha organizzato diverse spedizioni in Lucania di équipe interdisciplinari, con l’obiettivo di analizzare le tradizioni magiche locali attraverso i nuovi strumenti di analisi antropologica da lui introdotti, come la cinepresa. Fresco della pubblicazione de Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo (1948) e incuriosito dalla Basilicata rurale attraverso i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci e Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, bestseller dell’epoca, sceglie questa terra ancora da scoprire. Il risultato è Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (1958), una lunga indagine sul simbolismo del lamento funebre e dei rituali collettivi post mortem. Il pianto per la perdita di un proprio caro diventa una ritualità a sfondo apotropaico, ossia con l’obiettivo di allontanare le malignità attraverso le grida di disperazione e le lacrime quasi scenografiche delle donne del posto, anche non legate alla persona defunta. Riprenderà, poi, l’indagine sulla Lucania anche nel primo capitolo di Sud e magia (1959), saggio sulla fascinazione e i riti magici sopravvissuti, tra cui il maciare delle fattucchire ad Albano di Lucania. Gli studi di de Martino saranno incentrati anche in seguito sul substrato culturale del Meridione, in particolar modo sul morso della taranta in Puglia. 

Le tradizioni della Basilicata

Come si può evincere dagli studi di Ernesto de Martino, la componente magica e ritualistica è parte integrante delle tradizioni e del costume della Basilicata. Il Carnevale in Lucania, ad esempio, è una celebrazione folkloristica molto importante, con le grandi feste di Tricarico e Aliano. Ci sono storie e ritualità che più di altre, però, hanno caratterizzato l’apparato folkloristico di questa regione, alcune delle quali sopravvivono fino ad ora. 

Il Maggio di Accettura

Il Maggio di Accettura e le tradizioni della Basilicata
Il Maggio di Accettura - CC

Festa popolare con cadenza annuale, il Maggio di Accettura si tiene ogni Pentecoste, in corrispondenza della ricorrenza di San Giuliano, patrono della città in provincia di Matera.  Questa festività coniuga il mondo cattolico con i rituali agresti. Chiamato anche matrimonio degli alberi, il Maggio di Accettura consiste nell’unione di un cerro, il Maggio, e di un agrifoglio, la Cima, raccolti nelle foreste limitrofe e trasportati a mano per 15 km, fino ad Accettura. Il martedì dopo Pentecoste gli alberi vengono innalzati davanti alla statua di San Giuliano, trasportato in processione il giorno prima. Compito dei giovani è scalarli fino alla cima. Questa tradizione evoca la rinascita della Primavera ed è portatrice di fecondità.

La notte dei Cucibocca

Ogni 5 gennaio a Montescaglioso si celebra la Notte dei Cucibocca. La notte prima dell’Epifania delle figure spaventose, con mantelli neri, cappellacci e lunghe barbe bianche di canapa si aggirano per la città. Il loro passaggio è accompagnato dal rumore della catena spezzata che portano al piede. Hanno con sé un canestro, una lampada a olio e un grande ago, con cui minacciano di cucire le bocche dei bambini. Cucire le fauci è il simbolo della fine degli stravizi del periodo natalizio; al contempo i più piccoli, spaventati, si rifugiano nei letti, dando la possibilità alla Befana di consegnare doni e dolciumi. 

Il borgo di Quel Paese

Vista di Colobraro, il borgo che non si può nominare, tra le tradizioni della Basilicata
Vista di Colobraro - Shutterstock by Giambattista Lazazzera

Non un rituale, ma una città innominabile. Fu soprattutto partire dagli ‘40 del Novecento che si iniziò a diffondere la convinzione che nominare Colobraro, paesino di poco più di mille anime, portasse sfortuna. Storia vuole che questo borgo fosse abitato da maghe e fattucchiere, le cosiddette masciare. Erano loro a tenere sotto scacco del malocchio tutta la città, essendo le uniche a sapere come allontanarlo. Colobraro diventò, così, innominabile: per scaramanzia, tutti gli abitanti dei comuni vicini lo chiamavano Quel Paese. Per entrare in città era indispensabile indossare il proprio cingijok, l’abito-amuleto regalato a tutti a bambini in occasione del battesimo e composto da tre chicchi di grano, tre pietre di sale grosso, tre aghi di rosmarino e fiori di lavanda per allontanare il malocchio. Ogni venerdì di agosto nel castello cittadino viene inscenato lo spettacolo Sogno di una notte a… Quel Paese, diventando parte integrante delle tradizioni della Basilicata.

La leggenda del Monachicchio

Quella del Monachicchio è una figura leggendaria di lunga data, che compare con altri nomi anche nelle antiche tradizioni romane dei Lari e dei Penati e che ricorre anche in altre località meridionali con caratterizzazioni simili, ad esempio il Munaciello napoletano. Il mito del Monachicchio varia tra città e città, ma generalmente rappresenta lo spirito di un bambino morto prima di ricevere il battesimo. È bello e gentile, indossa un berretto rosso pieno di monete e si diverte a fare i dispetti a grandi e piccini. Compito del Monachicchio è proteggere i tesori sotterrati, dall’oro ai materiali archeologici del sottosuolo, e donarli a chi riesce a togliergli il cappello. Questa figura, quindi, rappresenta la fortuna e la fecondità a cui aspirano i lucani per migliorare la loro qualità della vita. Questa leggenda lucana compare anche in Cristo si è fermato a Eboli, che tanto ispirò Ernesto de Martino. Nelle tradizioni della Basilicata, simile al Monachicchio è il Marranghino, goffo e con i baffi. 

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Giulia Mariani
Redattrice

Nata nella campagna umbra, vive a Roma, dove si è laureata in Editoria e Scrittura. Assidua frequentatrice di mostre ed enoteche, le piace raccontare storie e si emoziona davanti a un dipinto o a un video di gattini. Nella sua borsa di tela non mancano mai un libro, un paio di cuffiette e una bustina di tè, che non si sa mai.

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